11/27/2020

Svelato il mistero della pandemia? Chiarezza della drssa Dondini sulla inutilità dei tamponi e sulla erronea terapia praticata. A chi giova tutto questo?
Ecco un’altra prova che con il corona virus la sanità mondiale è andata nel pallone nel migliore dei casi o ha fatto bingo se si pensa che “ il grande fratello” formato dai più influenti personaggi che detengono il potere nel globo terracqueo abbia ordito un furbo complotto sanitario per guadagnare trilioni di dollari sulla pelle di miliardi di persone inconsapevoli. Forse non sarà così allucinante la situazione, e il pensarlo, sarà un male, ma a volte ci si azzecca (metafora andreottiana). Il mondo si divide tra coloro che credono in buona fede sull’esistenza di un virus che viaggia in lungo e in largo contagiando la popolazione e chi pensa che i virus non esistano e siano solo un pretesto per fare business. Gli interessi sulla farmacologia sono enormi e questo non piace a coloro che vedono la medicina come una missione, ma il problema è più complesso e non solo economico, bensì soprattutto etico perché non è lecito ad un governo, limitare le libertà di un popolo a causa di un voluto equivoco sulla veridicità della pandemia.
Voglio raccontare di una onesta dottoressa con 30 anni di esperienza che candidamente non comprende perché le autorità gli abbiano imposto di non curare coloro che sono sospettati di essere contagiati e di trasmetterli all’autorità sanitaria che li prenderà in carico, lasciandoli per settimane senza cure adeguate, aspettando il peggioramento che giustifichi il ricovero in ospedale e magari in terapia intensiva dove il paziente sarà trattato con metodologie tanto invasive quanto inappropriate che in molti casi lo porteranno a morte, nonostante le premurose cure degli eroici e inconsapevoli sanitari che devono applicare i protocolli sanitari voluti da chi è sopra di loro nell’ambito della ricerca.
Se i fatti sono questi, sarebbe opportuno che una procura coraggiosa indagasse sulla veridicità della supposta pandemia e sul procurato allarme che ne consegue. Se la magistratura non si muove, dovrebbero attivarsi le associazioni dei parenti dei morti di covid, battendosi per la verità con un pool di avvocati con le palle per una doverosa indagine che possa portare ad una class action che ponga fine a questo orrendo modo di “trattare” la popolazione, con particolare riguardo ai malati che se fossero lasciati in mano dei loro medici curanti che da sempre affrontano le insufficienze respiratorie conseguenti alle polmoniti di vario tipo, la maggioranza di loro, sarebbe guarita senza coinvolgere col terrorismo mediatico l’intera popolazione di un paese, le istituzioni inidonee alla complessità del problema e un’intera economia arrivata al collasso e che rischia di chiudere i battenti di milioni di aziende per sempre, facendo sprofondare il paese nella povertà più colpevole e avvilente.
Cercate di ascoltare e capire tra le righe il messaggio di una dottoressa intervistata da Radio Radio:
Ecco l’intervista della dr.ssa Dondini . Troverete anche il video sulla pagina di facebook

1500 mutuati: né un morto, né un ricovero in terapia intensiva per la Dottoressa Maria Grazia Dondini, Medico di Medicina Generale a Monterenzio, in provincia di Bologna. Un bilancio ottimale le cui spiegazioni possono essere molteplici: bravura, preparazione. Tutto però comincia a cambiare dal 22 febbraio 2020, data nella quale in Gazzetta Ufficiale vengono promulgate dal Ministero le nuove linee guida per fronteggiare l’emergenza coronavirus che di lì a poco avrebbe sconvolto Codogno, la Lombardia, e in seguito l’intera penisola.
Il 22 febbraio è la data in cui il problema coronavirus inizia quindi ad esistere per il Governo, ma SarsCov2 si trovava in Italia da molto più tempo, e con ogni probabilità fino a quel momento era stato trattato dai medici di territorio, quelli che in seguito alle nuove direttive sono stati totalmente accantonati per far spazio ai ricoveri ospedalieri e alle terapie intensive.
Ecco perché, come ha spiegato a ‘Un Giorno speciale’, Maria Grazia Dondini non c’è stata: ha continuato a sentire e a curare i suoi pazienti nonostante le regole “non lo vietassero“, ma di fatto lo disincentivavano.
Preoccupazione, perspicacia e una certa dose di sfiducia nelle nuove regole del Governo hanno spinto la dottoressa a questa “ribellione”, anche perché come riferisce a Fabio Duranti e Francesco Vergovich, le nuove disposizioni “non andavano verso la tutela della salute, ma contro“.
Ecco l’intervista ai nostri microfoni.
“Forme febbrili accompagnate da una sintomatologia respiratoria le vedevamo già da prima di quel 22 febbraio . Da un certo momento in poi abbiamo dovuto dimenticare quello che avevamo fatto fino a quel momento perché trattandosi di un nuovo coronavirus la cui origine non era conosciuta e la cui terapia era inesistente, dovevamo fare denuncia di malattia infettiva al Dipartimento di Sanità Pubblica che prendeva in carico il paziente con una sorveglianza domiciliare, cioè il paziente doveva rimanere a casa fino al momento in cui l’insufficienza respiratoria non fosse stata tale per cui si doveva poi andare in ospedale.
Nell’ordinanza era scritto che doveva essere disincentivato l’accesso dei pazienti agli ambulatori di medicina generale, nei pronto soccorso e, in caso di sintomatologia respiratoria (che veniva ricondotta obbligatoriamente al coronavirus), i pazienti dovevano stare a casa loro isolati.
E’ chiaro che il Ministero non ha vietato la visita domiciliare, ma noi potevamo vedere i pazienti a domicilio, purché avessimo indossato la mascherina FFP2 che non c’era: la ASL mi ha fornito la prima mascherina il 30 di marzo.
Se i pazienti sono poi peggiorati? Certo. Non tutti perché poi ci sono forme febbrili che si vedono tutti gli anni che si risolvono spontaneamente. Il problema erano le complicanze: sono le infezioni batteriche che creano poi problemi e sono varie.
Ad un certo punto siccome si partiva dal presupposto che ci trovassimo di fronte ad una polmonite interstiziale, addirittura mi è arrivata una comunicazione dalla Regione in cui ci si diceva “non mandate i pazienti a fare la radiografia del torace, perché non è diagnostica per polmonite interstiziale”. Cioè se il medico aveva un sospetto diagnostico per esempio per una polmonite alveolare, non aveva la possibilità di una conferma diagnostica mandando il paziente a fare la lastra.
Sono state messe in atto procedure che sicuramente non hanno giovato alla salute dei pazienti.
Passavano 7-10 giorni prima che la situazione non fosse tale da richiedere il ricovero ospedaliero. I pazienti telefonavano al 118, gli chiedevano come stavano e se avevano un po’ d’affaticamento si rispondeva “aspettiamo ancora un po’”.
In coscienza io mi sono sentita di andarli a vedere questi pazienti: c’è un rapporto di fiducia. I risultati sono stati che – io ho 1500 assistiti – non ho avuto un decesso e nessuno è entrato in terapia intensiva.
Non sono la sola, anche una mia collega di Bergamo ha avuto gli stessi risultati.
https://www.radioradio.it/2020/11/regole-ministero-sbagliate-covid-pazienteterapia-intensiva-denuncia-dondini-coronavirus/

Ovviamente la dottoressa sarà redarguita, forse punita per non aver adottato i protocolli di cura che non solo non guariscono, ma che sono probabilmente essi stessi una delle cause che provocano conseguenze gravissime che la dottoressa associa al virus, ma che chi come me osserva le malefatte della medicina da decenni, considera deleteri in tutte le patologie dove sono adottati. Non credo si possa tollerare ancora questo strapotere che provoca dolore e morte impunemente. Inoltre, è imperativo arrivare alla libertà di cura in modo da preservare quei medici che sono stanchi di non poter curare e guarire i propri pazienti dovendo adottare delle metodiche invasive protette dalle leggi vigenti che dovranno essere prima abrogate e poi riformulate. Tutti dovremmo attivarci, nel proprio ambito, per difendere quei medici come la dottoressa Dondini e tanti altri che con coraggio e professionalità, si oppongono alla falsità e alla pericolosità di certe terapie ufficiali imposte.